Quante volte ci hanno fatto questa domanda? E quante risposte possibili esistono?
Scriviamo per quella sensazione che ci prende quando incontriamo qualcuno che vale la pena di trasformare in un personaggio. Scriviamo perché quando una storia ci resta addosso dobbiamo raccontarla a tutti. Scriviamo per catturare sul foglio un’emozione che altrimenti scivolerebbe via, assieme ai ricordi.
Scriviamo perché, semplicemente, non possiamo farne a meno.
Ognuno ha il suo perché. Ma tutti scriviamo, perché le storie ben scritte sono capaci di tenerci svegli la notte e sono così potenti che certi personaggi ci mancano anche molti anni dopo aver letto quel libro.
Scrivere in Italia è difficile e lo sappiamo bene, così come forse sappiamo che solo il 41% degli Italiani legge un romanzo all’anno. Il mercato dell’editoria è saturo ed è sempre più difficile che le case editrici investano su scrittori esordienti che non siano già famosi o social-mente noti.
Eppure, chi la ama non abbandona la scrittura. Non potrebbe mai farlo.
I podcast regalano una dimensione nuova all’esperienza della scrittura, così come a quella della lettura. Aggiungono tridimensionalità al racconto scritto: sono storie lette ad alta voce, recitate con musica ed effetti sonori in sottofondo, che possiamo ascoltare ovunque, usando un senso a volte sottovalutato: l’udito. Se un nostro racconto venisse letto dalla voce di un professionista ce ne accorgeremmo subito, perché è tutta un’altra esperienza.
Se per l’editoria tradizionale i numeri sono sconfortanti, per il mercato del podcast, invece, fanno ben sperare: negli ultimi 3 anni gli ascoltatori si sono più che triplicati, raggiungendo quasi i 3 milioni. Il caso più famoso in Italia – di cui parleremo presto in maniera più approfondita– è Veleno: il podcast di Pablo Trincia e Alessia Rafanelli che racconta un caso di cronaca italiana dei primi anni Novanta.
Tutto ciò fa del podcast un’occasione unica per chi ama scrivere, non solo per cimentarsi con una nuova modalità di scrittura ma anche per condividere le sue storie con molte più persone.
Ma allora perché diciamo che i Greci hanno inventato i podcast? Ogni promessa è debito.
Nell’antica Grecia, gli abitanti dei villaggi e delle polis aspettavano l’arrivo degli aedi e dei rapsodi come noi aspettiamo l’ultima puntata di Game of Thrones in televisione. E Aedi e Rapsodi altri non erano che viaggiatori alla ricerca di storie: di battaglie, di amori, di tradimenti, di dèi e sovrani. Ascoltavano queste narrazioni e poi le rimaneggiavano, per dare vita infine a un unico, potente “story telling”: le tagliavano (rapto infatti in greco antico vuol dire tagliare) e poi le cantavano ad alta voce (ado significa cantare). L’Iliade e l’Odissea sono nate così e solo infine sono diventate i libri che ancora oggi studiamo sui banchi di scuola. Possiamo quindi affermare che aedi e rapsodi sono gli antenati viventi dei podcast odierni? Forse.
Di certo possiamo dire che, ancora una volta, gli antichi Greci ci hanno anticipato.
Ma, in fondo, già lo sappiamo perché ce lo ho detto Bernardo di Chartres in tempi non sospetti: noi siamo nani seduti sulle spalle di Giganti.