Isabella Pratesi, WWF: “Il podcast? Un modo per arrivare al cuore delle persone attraverso l’ascolto”

 
Un podcast lo ascolti, dà vita a delle immagini che prendono forma nella testa e può creare una connessione. La connessione a cui fa riferimento Isabella Pratesi, Direttrice Programma conservazione WWF Italia, è quella che rende un podcast un mezzo di comunicazione ideale per far arrivare un messaggio, come quello veicolato da una campagna di sensibilizzazione. Ed è per questo che, dopo il successo del progetto “SOS Elefante”, che ha utilizzato l’Instant podcast per diffondere il proprio messaggio, WWF ha voluto riptere l’esperienza anche con “Crimini marini”, una campagna di sensibilizzazione che fa emergere tematiche quali l’impoverimento ambientale dell’ecosistema marino, gli atti criminali che l’uomo compie e sui mezzi che abbiamo a disposizione per contribuire ad arginare questo fenomeno.  
Come è cambiato negli ultimi anni il modo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulle tematiche ambientali?
Innanzitutto dobbiamo dire che è cambiato il modo, esattamente come sono cambiati anche gli strumenti per comunicare e per sensibilizzare. Chi oggi parla di ambiente o di natura, usa esattamente gli stessi strumenti che la società ha imparato ad usare per parlare di qualsiasi altro argomento, ecco perché utilizziamo i social mentre continuiamo a utilizzare anche altri media più classici. Ciò che forse ha più subìto un cambiamento è la velocità del messaggio oltre la necessità di essere incisivi. In passato i temi ambientali legati alla sostenibilità erano limitati, non dico ci fossero poche cose da dire, ma ci si focalizzava solo su alcuni aspetti; oggi la sostenibilità riguarda tutto e si parla di natura quando si parla di economia, quando si parla di società, quando si parla di cultura. Da qui la necessità di essere presenti in ogni momento, per far capire come ciò che sta succedendo sia connesso alla natura, all’ambiente e alla sostenibilità. Questo è l’aspetto più complicato: bisogna essere sempre attivi, sempre presenti, per capire come sta cambiando la società e quali sono gli elementi di comunicazione da usare per parlare di natura.
Quindi anche le strategie di comunicazione sono cambiate?
Sì, sono cambiate proprio sotto l’aspetto della velocità e dell’intensità. Ma in fondo è tutta la nostra società, la nostra cultura che è cambiata in questo modo. Un tempo sui temi ambientali c’era magari la crisi perché una petroliera si era incagliata, allora per un mese si parlava solo di quello. Oggi abbiamo gli incendi in Brasile e in Amazzonia, problemi di inquinamento intenso in diversi fiumi, le alluvioni, la qualità dell’aria e le polveri sottili che respiriamo e via dicendo. Insomma, è veramente un carico notevole di informazioni e nessuna di esse può essere trascurata perché tutte devono essere comprese e lette in maniera intelligente, ed è quello che fa il WWF, che cercare di tradurre l’informazione in azioni concrete. Per fare un esempio ti parlo di pesticidi. Cosa fare per ridurre questo quantitativo di chimica che sta uccidendo non solo gli ecosistemi, ma anche la nostra salute? Ebbene, ci sono delle leggi, ci sono dei regolamenti europei, ci sono degli obiettivi che l’umanità si è data e dobbiamo spingere in quella direzione, ma dobbiamo farlo in primis come consumatori, cioè rifiutare ciò che è chimico, dagli antibiotici ai pesticidi. Non si tratta infatti di danneggiare solo il pianeta, ma anche l’uomo. È tutto collegato, lo abbiamo capito. Anzi, si era già capito negli anni ’70, quando si iniziava a parlare di ecologia. Adesso però le connessioni sono così evidenti, che non si può fare più finta di niente.
Nel mese di maggio la campagna di sensibilizzazione “SOS Elefante” si è avvalsa dell’Instant Podcast. Quali sono stati i motivi che hanno portato ad adottare questa strategia?
Il fatto che sia una novità e il voler cercare di capire se, attraverso una narrazione di ascolto, potevamo trasmettere i valori, le emozioni e l’urgenza in una maniera diversa, perché da sempre siamo tutti molto sommersi dalle immagini. Al contrario, credo, e ci ha creduto anche il WWF, che trovare una modalità che entri nella testa delle persone, che parli col cuore delle persone attraverso l’ascolto possa essere un modo nuovo. Per noi sfruttare il podcast come strumento di comunicazione è stato un esperimento, ed è stato un successo. Un podcast lo ascolti, dà vita a delle immagini che prendono forma nella testa e che possono contribuire a creare una connessione. Il podcast richiede più attenzione, più concentrazione rispetto a guardare la televisione o far scorrere le immagini su un tablet. E se l’ascolto lo “scegli” in modo consapevole, sei obbligato davvero ad ascoltare, altrimenti diventa solo un rumore fastidioso e automaticamente te ne liberi; invece, se entri in quella sintonia, in quella narrativa, in quel fiume che ti vuole connettere a qualcosa di importante, secondo me è un’esperienza che ti riempie, che ti dà qualcosa che rimane, mentre l’immagine lascia un po’ meno.
Essendo quindi più immersivo e consapevole, è probabile che sia anche più efficace?
Si, immersivo è la parola giusta e probabilmente direi anche più efficace. Tant’è che dopo aver utilizzato il podcast per la campagna di sensibilizzazione “SOS Elefante”, WWF ha deciso di farlo anche per quella sui “Crimini Marini”.
Puoi anticiparci qualcosa su questa campagna?
Gli oceani sono questo grande spazio di sogno e di bellezza, ma molto meno consapevolmente, sono anche dei polmoni della nostra vita. Gli oceani producono quasi la metà dell’ossigeno che respiriamo, hanno assorbito e assorbono un terzo delle emissioni di anidride carbonica, danno cibo a centinaia di milioni di persone, ciò nonostante li abbiamo sempre considerati come un pozzo senza fine, a cui attingere e da sfruttare senza limiti. Questo sfruttamento è arrivato ben oltre la capacità degli oceani di rigenerarsi. È quindi arrivato il momento di guardare a come viviamo gli oceani per rimettere in equilibrio l’attività dell’uomo con la capacità degli oceani. E’ soprattutto arrivato il momento di fermare tutte quelle azioni che ancora oggi si verificano illegalmente, dallo scarico di sostanze tossiche in mare alla riduzione degli impatti della plastica. Ogni tipo di depredazione non controllata e illegale commessa sulla terra ha ripercussioni su mari e oceani e porta a una grave strage di organismi marini, fondamentali per far funzionare gli oceani. Porto ad esempio gli squali, che stiamo massacrando illegalmente e, il più delle volte inutilmente, ogni volta che accidentalmente finiscono nelle reti da pesca. Uccidendo gli squali andiamo a distruggere un elemento degli ecosistemi marini che è cruciale, dando origine a un vero e proprio sistema di collasso dell’ecosistema marino che riduce la quantità di pesce, che aumenta la quantità di alghe tossiche o di meduse per esempio. Insomma, proteggere gli oceani e mantenere in equilibrio gli ecosistemi vuol dire metterci in sicurezza e garantire il nostro benessere. Basti pensare che le Nazioni Unite hanno dichiarato che nel 2050 negli oceani ci sarà più spazzatura che pesci. Lo dicono le Nazioni Unite e questo è abbastanza preoccupante. Si può, tuttavia, fare ancora moltissimo per la salvaguardia di mari e oceani, perché gli attori siamo noi, dobbiamo semplicemente cambiare le nostre azioni. Ascolta il podcast “Crimini marini” sull’App Podcastory.