Benvenuti sulla piattaforma social Clubhouse
Una nuova piattaforma social per molti ma non per tutti
Ogni volta che nasce una nuova piattaforma social, ci si chiede se realmente andrà a sostituire o a surclassare quelle più utilizzate.
Ma, se da una parte Facebook e Instagram, sembrano davvero imbattibili, dall’altra forse l’ultimo arrivo ha tutte le premesse per conquistare milioni di utenti.
Stiamo parlando, ovviamente, di Clubhouse, piattaforma social che ha debuttato nell’aprile 2020, ma che solo da poche settimane sta facendo realmente parlare di sé.
Le differenze con i social già esistenti sono molte, e per questo pensiamo che possa davvero fare breccia, nonostante per ora sia molto di nicchia.
Non ci si può iscrivere liberamente, infatti, ma occorre essere invitati da qualcuno che già ne fa parte; inoltre è indispensabile essere maggiorenni e possedere un iPhone, poiché si tratta di una app scaricabile solo da iOS. E se consideriamo che Android è altamente più utilizzato a livello mondiale, ecco perché definire Clubhouse di nicchia non è poi così sbagliato. Anche se, e qui ve lo anticipiamo, sembra che si stia lavorando ad una versione per Android, ma non si sa ancora quando potrà scaricare da Play Store.
Per i profani che ancora non sanno di cosa stiamo parlando, Clubhouse non utilizza post scritti né fotografie, ma solo tracce vocali, come la tendenza più attuale dei podcast impone. Una caratteristica in più è che non esiste uno storico delle conversazioni, poiché dopo 24 ore i messaggi vocali vengono cancellati, per mantenere il massimo della riservatezza.
I più scettici, a questo punto, farebbero una domanda scomoda: “Se le tracce vocali vengono subito rimosse, come si fa a segnalare abusi?”. Ed è proprio a questo che servono le 24 ore di latenza, durante le quali chiunque, non solo i moderatori, possono evidenziare l’eventuale presenza di bullismo o qualsiasi tipo di abusi o violenze.
A questo proposito, se un partecipante viene segnalato e, di conseguenza, bannato, a pagarne le conseguenze è anche la persona che ha invitato quel soggetto. Se, infatti, le conversazioni vengono cancellate dopo 24 ore, nella bio di ogni singolo utente appare la dicitura “invited by”, per sapere chi ha favorito il suo ingresso nell’app. È sicuramente un buon modo di richiamare ognuno a prendersi le proprie responsabilità. Si riconduce a questo trend anche la richiesta di registrarsi con il proprio nome, senza utilizzare nickname.
Anzi, questa potrebbe essere definita la vera novità, almeno quando si tratta di social network. Se, infatti, generalmente è possibile registrarsi utilizzando qualsiasi nome ci venga in mente, che sia quello presente sui nostri documenti o solo un soprannome poco importa, Clubhouse chiede ai suoi utenti trasparenza. Niente pseudonimi, quindi, ma solo noi stessi. E niente foto o post anonimi, ma solo la nostra voce.
Questo trend porta con sé due importanti ed innovative conseguenze: quella più immediata è che ci si presenta esattamente come siamo, senza possibilità di fingere o di condividere contenuti da altre persone; e qui tutti i nodi vengono al pettine, perché, se non si ha molto da dire, è difficile rimanere a galla.
Insomma, Clubhouse è una vetrina potentissima ma non si presta particolarmente al “cazzeggio”, perché dietro ad una bella faccia e qualche battuta spiritosa, occorre avere ben altro. Ma, per chi è in possesso di questi requisiti, si tratta di un’opportunità, anche professionale, da cogliere al volo.
Farsi conoscere su Clubhouse è indispensabile, soprattutto quando, come ora, i rapporti interpersonali devono necessariamente essere messi da parte.
A sostituire serate ed eventi, dunque, potrebbe esserci questa app social che permette di mettere in contatto tra loro professionisti, ma anche persone interessate a condividere una passione con chi è davvero competente.
Non a caso, i primi ad accedere a Clubhouse sono stati imprenditori, personaggi di spicco non solo dello star system ma anche, e soprattutto, provenienti da ambiti strettamente lavorativi, ma sempre ad alto livello.
Per questo, appare ancora più chiaro perché questo social sia partito in sordina, considerato forse destinato solo a pochi eletti, ma, in realtà, ora che sta suscitando forte curiosità, e che tutti ne parlano, si comincia a capire che chiunque può farne parte, ma solo se ha davvero voglia di mettersi in gioco ed è aperto al confronto. Difficilmente, infatti, qui è possibile “gettare il sasso e nascondere la mano”, il confronto è indispensabile quando si apre un dibattito.
Le conversazioni avvengono in rooms, stanze alle quali si accede a seconda degli interessi e degli argomenti trattati, anche se ormai le rooms vengono chiamate “clubs“. All’interno di queste stanze virtuali, nelle quali possono esserci uno o più moderatori (ma di questo parleremo più avanti), gli utenti possono scambiarsi messaggi, rigorosamente vocali, in diretta, come se si trovassero nel corso di una call conference. E di questo, in tempo di pandemia, ormai siamo tutti esperti, ahimè, o fortunatamente, dipende dai punti di vista.
Tornando alle rooms, non sono tutte uguali e, per i diversi livelli di accesso che le caratterizzano, si distinguono in Open, Social e Closed, in ordine di accessibilità.
Una room Open, quindi, è aperta a tutti e indicizzata nella ricerca; se è Social, invece, ci si può accedere solo se tra i partecipanti ci sono persone che seguiamo o appartenenti ai nostri contatti; Closed, infine, è la room riservata solo a chi ha ricevuto un invito per parteciparvi. Ciò significa che non è neppure visibile agli altri utenti.
Ci troviamo senza dubbio davanti ad una app capace di suscitare molto interesse e curiosità, anche perché dimostra di avere una forte personalità e una forte caratterizzazione. E infatti cominciano a fioccare richieste di invito da parte di chi, per ora, ne è rimasto escluso. Che sia proprio questo, il suo pezzo forte?