“L’essenza del podcast? È il contenuto”. Intervista a Simone Damiani, Head of Content

Dalla radio al podcast. Sembra un passaggio quasi “scontato” se si considera l’evoluzione dei media e l’impatto delle nuove tendenze negli ultimi anni, ma nel caso di Simone Damiani, ex Head of Content di Vois, questa transizione è stata caratterizzata da un percorso ricco di esperienze e sfide uniche.

All’età di vent’anni Simone inizia a lavorare in una radio locale della sua città, Civitavecchia, “una radio talmente scalcinata – racconta lui – che dovevo stare attento che non si sentissero le galline durante le registrazioni perchè la sede era vicino a un pollaio”.

Affascinato dal mondo dei contenuti, in particolare dei video, Simone inizia a produrli autonomamente per poi collaborare con realtà come Current TV (la tv di Al Gore), Qoob, il canale sperimentale per digitale terrestre di MTV che comprava contenuti prodotti da film-maker, e Bonsai TV, il progetto dell’agenzia YAM112023 che ai tempi offriva un canale per il decoder Rosso Alice, il primo set of box che consentiva di vedere video senza parabole o antenne. Per Bonsai TV Simone realizza diverse sit-com, come “Holy Condom”, dove il protagonista è un distributore di profilattici credente che fa di tutto per non fornirli, o sulla stessa linea, “Punkomat”, un distributore di soldi tirchio.

Per Endemol Simone lavora poi come Strategist per Grande Fratello, dirigendo il team di redattori e montatori che produce clip e articoli per il sito e i social: successivamente i suoi incarichi si sono allargati anche ad altri programmi tv come Master Chef, Family Food Fight e Antonino Chef Academy. Dopo aver lavorato in Prime Video coordinando il team responsabile della produzione di contenuti social, per Simone arriva un’opportunità: lavorare in Vois, come Head of Content. E la passione per il podcast lo porta a cimentarsi in questa nuova avventura.

Il concetto “Content is king” è stato sempre una bussola nel tuo percorso professionale…

È qualcosa che ho imparato sulla mia pelle iniziando a produrre contenuti audio e video; all’inizio sei in fissa con l’attrezzatura che usi, ma a poco a poco capisci che è il contenuto ad essere davvero importante, un aspetto che si ripercuote anche nei social.

Nel periodo di Prime Video, per esempio, c’era un grande focus su TikTok e ho potuto constatare che più il contenuto era “sporco”, grezzo o unbranded, più funzionava. Addirittura ci eravamo accorti che i contenuti che avevano una predominante bluastra – che ricordava Prime Video – venivano saltati più facilmente: generavano meno interazioni per il fatto che ci fosse qualcosa che riconducesse al brand di Amazon.

Venendo dal mondo del social, dov’è tutto molto spontaneo, non sono tra i fissati della qualità della registrazione, non ricerco a tutti i costi la perfezione del suono; e posso portarti l’esempio di un podcast di Vois, in vetta alle classifiche tematiche, che è registrato con uno smartphone. Questo è il significato di “Content is king”: quando hai qualcosa da dire non importa cosa usi per produrre il contenuto, l’importante è quello che dici. E questo aspetto è ancora più importante nel podcast.

Quali sono state le tue responsabilità principali come Head of Content per Vois?

Selezionavo i progetti da produrre, chiaramente non erano decisioni che prendevo da solo, ma li selezionavo da varie fonti: progetti proposti attraverso il sito, progetti che arrivavano da contatti di amici, da scambi di mail, da persone incontrate agli eventi, progetti che poi venivano portati in discussione e si decideva con quali procedere. Abbiamo utilizzato molto il sistema di network, portando dentro podcaster già indipendenti, dandogli la possibilità di crescere sia dal punto di vista pubblicitario sia dal punto di vista delle rete che si crea all’interno della produzione.

Qual è l’impatto dei podcaster indipendenti sull’industria dei podcast? E come interagisce Vois con questa categoria?

Per come la vedo io, i podcaster indipendenti dovrebbero avere un impatto maggiore, perché è chiaro che nell’industria del podcast le classifiche vengono dominate dai grandi gruppi editoriali e dai grandi nomi; tuttavia, molto spesso, i grandi nomi fanno podcast perché è ormai una moda, o perché è un modo per elevarsi dal punto di vista della propria immagine. Fare podcast oggi è come diversi anni fa poteva essere lo scrivere un libro.

Gli indipendenti a cui Vois ha dato molto spazio, sono quelli che lo fanno per passione perché adorano questo mezzo, adorano il fatto che il podcast consenta di parlare in maniera più intima con le persone, quindi come Head of Content di Vois, la missione è stata quella di portare alla luce i podcast di chi davvero ama fare questo lavoro.

I vodcast sono sempre più popolari. Questo aspetto non toglie un po’ di focus su quella che è l’essenza del podcast?

Questo è un dibattito per cui potremmo parlare per ore perché il podcast ha questo enorme problema della discovery, diversamente dal video che, grazie a Youtube e altre piattafome, può darti una grande spinta in questo ambito. Allo stesso tempo non deve diventare – e torniamo al concetto “Content is king” – un modo per mascherare che il tuo podcast è povero di contenuti. Consiglio sempre di concentrarsi sul contenuto perché a volte si introduce il video quando è troppo presto, quando non si è ancora podcaster maturi, perché magari si può guadagnare pubblico, ma il rischio è quello di distrarsi dall’essenza del podcast che è il contenuto in audio, e quindi, la parola.

Tuttavia Il mondo sta prendendo quella strada, fare video non è cosi complesso e, tutto sommato, è più difficile realizzare un buon audio che un buon video, difatti puoi usare uno smartphone di fascia media e avere un ottimo video, ma non un ottimo audio.

Quali sono gli elementi chiave considerati quando viene ideato e prodotto un podcast? Ed esiste un modo per valutare il successo che avrà un podcast una volta prodotto?

Gli elementi chiave sono chiaramente moltissimi, ma al primo posto c’è la motivazione della persona che produce il podcast: se la motivazione è solo avere un canale in più per farsi conoscere, magari un canale poco presidiato, non è quello l’approccio giusto.

Diciamo che sei hai qualcosa da dire, se hai una storia forte, che ha una vita lunga, già quello è un buon punto di partenza. Le storie e gli argomenti trattati possono essere un modo per farsi conoscere. Poi ci sono altre voci da considerare come il fatto di avere già una presenza social che aiuta, un pubblico di riferimento, una voce che funziona, ma sono tutti aspetti su cui si può lavorare, purché il contenuto sia valido.

Quali sono le sfide più comuni che incontri nel tuo ruolo e come le affronti?

Valutare un progetto sulla carta è difficile perché magari un podcaster sa produrre un podcast, ma non te lo sa raccontare. E poi anche trovare i podcaster, quelli con un seguito, quelli interessanti: a volte sono difficili da scovare.

Guardando all’anno appena trascorso, che anno è stato per l’industria del podcast e cosa possiamo aspettarci nel 2024?

È stato un anno pieno di scossoni perché le piattaforme che producevano podcast, hanno smesso di farlo e quelle che possono produrre podcast, non hanno ancora iniziato a farlo e forse non lo faranno mai.

In ogni caso, il modello delle piattaforme è molto simile a quello di Youtube, quindi da una parte questo ha reso la vita più complicata per i grandi e più semplice per i piccoli, si torna quindi a giocare ad armi pari.

È una fase in cui da una ubriacatura che c’è stata negli anni del Covid, si torna alla normalità, quindi non ci sono più i numeri folli di quel periodo, ma si comincia a vedere chi vuole davvero fare questo lavoro e chi vuole stare su questo mercato. È come se corressimo tutti una maratona, in cui gli anni del Covid coincidono con la partenza della gara, e adesso, dopo qualche chilometro, il gruppone di runner inizia a essere meno compatto.