alessandro ossola si racconta ai microfoni di podcastory
Intervista ad alessandro ossola, cofounder di Bionic people e ideatore dell’Inclusive Padel Tour
Atleta paralimpico e co-fondatore di Bionic People, Alessandro Ossola è stato ospite di una puntata di Debrief, la serie podcast condotta da Barbara Cassinelli e Giuseppe Mayer. Un’occasione imperdibile per intervistarlo.
Alessandro, come è stato partecipare alla serie “Debrief” con Barbara Cassinelli e Giuseppe Mayer?
Mi è piaciuto molto, anche perché Barbara e Giuseppe sono persone che mettono a proprio agio chi hanno di fronte, quindi mi è sembrato veramente di fare una chiacchierata amichevole, come del resto è stata. Ho trovato un ambiente confortevole dove mi sono sentito libero di raccontarmi e di raccontare un po’ le vicissitudini di questa frenetica vita.
Sei un ascoltatore abituale di podcast?
Ad essere onesto, in generale, ho pochissimo tempo. Posso dirti che mi trovo più a fare podcast, quando mi invitano, piuttosto che ad ascoltarli, quindi potrei dire di essere più un “contribuente2 che un fruitore.
In Podcastory siamo abituati ad ascoltare, ma nell’episodio di “Debrief” hai raccontato del silenzio “assordante” dello Stadio di Tokyo 2020, dove non c’era pubblico a causa delle restrizioni per la pandemia…
Non è un ricordo positivo, ma neppure negativo, piuttosto un ricordo impattante nella mia vita, perché è stato un po’ come ritrovare quel silenzio già conosciuto quando sono tornato a casa dopo l’incidente ed ero solo, dopo la scomparsa di mia moglie. Quindi il silenzio che ho ritrovato a casa, l’ho ritrovato in quello stadio, ma è stata una specie di rivincita perché quando l’ho rivissuto stavo facendo qualcosa di incredibile rispetto a pochi anni prima. L’ho vissuto come una rivincita.
Trovarsi in uno stadio olimpico non è da poco e non è da tutti…
Sì, assolutamente, ed è stato emozionante pensare a solo quello che aveva vinto Jacobs e tutta la compagine italiana un mese prima, e noi eravamo lì. È stato davvero emozionante e stimolante, anche perché l’allenatore di Jacobs mi ha mandato un videomessaggio di incoraggiamento, quindi, davvero un’esperienza positiva.
Più che paralimpico, sei un atleta bionico, una definizione che mi sembra tu preferisca…
Sì, perché sulla definizione “paralimpico”, secondo me, spesso e volentieri si fa un po’ di confusione. Mi spiego. Si vede un atleta con disabilità e lo si definisce immediatamente paralimpico, ma non è così. L’atleta paralimpico è un atleta che ha fatto una paraolimpiade, altrimenti anche il signore che va a correre al parco la sera è un atleta olimpico, invece no: è un atleta o uno che ci prova. Al contrario, un atleta bionico rende molto più giustizia a tutto il contesto, anche in termini di difficoltà che qualsiasi atleta amatoriale può avere, perché sicuramente le difficoltà le hanno tutti, compreso chi non fa magari dello sport la sua ragione di vita.
In ogni caso un atleta che si allena a livello agonistico, oltre alle difficoltà, deve fare i conti anche con rinunce e sacrifici, anche per te è così?
Sicuramente il tempo è una delle rinunce più grandi perché è una delle cose a me più care. Sarà perché ho fatto questo incidente che mi ha fatto capire davvero quanto breve possa essere la nostra vita se non si fa attenzione, se le circostanze della vita ti portano a ostacoli come quello di incidente grave. Allora lì sì che apprezzi il tempo in una maniera più profonda. Quando decidi di intraprendere un percorso sportivo così impattante come quello che ti porta, se sei fortunato e determinato, alla paraolimpiade, quella che stai facendo è una scelta molto grande, perché significa togliere tempo da tutto il resto.
Oltretutto il tuo tempo è anche assorbito da Bionic People, la società di cui sei cofondatore. Come è nata l’idea?
Bionic People è un’associazione nata nel 2019 da un’idea mia, di Chiara Bordi e di Riccardo Cotilli, che sono due miei cari amici, con cui ci siamo trovati a margine di un evento e ci siamo chiesti: “Noi siamo qui, abbiamo reagito, parliamo ai ragazzi nelle scuole, staimo bene, ma gli altri?”.
Da qui è nato tutto. Perché vedevamo anche tante persone che non stavano reagendo alla propria disabilità, che non avevano ripreso la propria vita in mano. Ci siamo messi nei loro panni e abbiamo voluto fare qualcosa per aiutare. Così abbiamo creato Bionic People con l’obiettivo di cambiare il modo di guardare la disabilità, che non è solo aiutare chi ha una disabilità, ma molto più, vale a dire promuovere la sensibilizzazione nelle scuole, nelle università, nelle aziende: è un impegno ma porta a vedere risultati grandi come quello di entrare in contatto con trentamila studenti in solo quattro anni.
A che punto siamo con l’evoluzione delle protesi?
Penso spesso al cambiamento avvenuto dal punto di vista culturale, fisico e mentale e le protesi hanno una parte da protagonista in tutto questo cambiamento, perché la tecnologia ci ha portato davvero a vivere quasi in un altro mondo rispetto a quello di quindici, venti anni fa. Oggi posso dirti che la mia protesi è il miglior prodotto per permettere la mobilità a livello globale: ha una batteria che dura quattro giorni, ha il bluetooth con il cellulare, è un ausilio protesico incredibile.
Ovviamente il problema di questo tipo di tecnologie sono i costi, perché lo Stato non li sostiene e quindi non tutti possono permetterseli. Questo però significa essere fortemente svantaggiati, per farti un esempio, la mia protesi può bagnarsi in acqua e non devo portarmi una gamba di riserva se vado al mare, ma non tutti possono permetterselo e non è giusto. Abbiamo fatto parecchi incontri con alcuni ministri per cercare di cambiare qualcosa, stiamo cercando di fare di tutto per parlare dei problemi degli ausili, perché continuano a esserci. Bisogna fare qualcosa per migliorare la vita di chi ha una disabilità, questa è la realtà dei fatti. Quindi ce la mettiamo tutta.
Tornando allo sport, senza aver lasciato la tua specialità atletica, i 100 metri, ti sei appassionato anche al padel?
Si, a settembre 2021 mi sono innamorato di questa disciplina: è facile e adatta anche a persone con disabilità. Ciò significa che puoi giocare con i tuoi amici che magari una disabilità non ce l’hanno e questo è incredibile perché non ci sono tanti sport praticabili in piedi. Ecco perché abbiamo fondato un circuito che si chiama Inclusive Padel Tour che permette, adottando una semplice regola di consentire un rimbalzo della palla in più, di giocare con tutti. È qualcosa che mi riempie il cuore di gioia perché vedo finalmente ragazzi che possono competere, che possono divertirsi, che hanno un po’ lo scopo sportivo nella giornata, stimolo che fino a poco tempo prima magari non avevano.